Ho deciso di fare una veloce ricerca su questa storia perché la trovo interessante e perché sto constatando con piacere che ci sono molte persone che come me trovano appassionanti le storie sui cosi detti ”staroverci” e le loro credenze.
Forse la cosa più intrigante sui ”staroverci” e il fatto che pare che questa vecchia religione così detta pagana potrebbe essere ancora viva in certi ambiti. E non sto parlando di persone che ballano intorno al fuoco durante le notti di luna piena o giocano ai "druidi" durante il solstizio estivo solo perché la vita e noiosa e la strada per andare in India e lunga.
Come e quando nascono le credenze pagane? Quelle vere, che hanno origine profonda e molte volte anche dolorosa? Forse nel 21° secolo e difficile comprendere fino in fondo e dare una risposta sincera a questo quesito e forse e anche difficile che ne nascano di nuove di queste credenze.
Credo che la maggior parte di quelli appassionati del Carso e delle sue battaglie abbiano sentito parlare del così detto “albero isolato” sul Monte San Michele sopra San Martino del Carso. Un albero che dalla parte austro-ungarica serviva a marcare la famigerata quota 197 e da quella italiana dava nome al famoso “valloncello dell’albero isolato” dove Ungaretti scrisse la sua famosa poesia su San Martino del Carso.
Prima della guerra il gelso dava ombra a una piccola chiesetta che fini in macerie subito dopo l'inizio del conflitto. Dopo un paio di mesi di bombardamenti i resti di quell'albero in pratica attaccato alle prime linee austroungariche erano rimasti l'unico punto di orientamento in un paesaggio altrimenti completamente desolato. Il soldato ungherese László Kókai scrisse. “Sul monte San Michele non c’è più vita, non si vedono piante, steli d’erba e alberi vivi. Sulla collina della chiesa solamente quell'albero troncato, privo di vita, testimonia che una volta qui c’era vegetazione. Con il suo tronco paralizzato l’albero nereggia come un punto esclamativo sul campo di battaglia raso dalla pioggia delle granate.”
E qui incomincia per davvero la nostra storia. Secondo la logica militare e anche secondo il comune buon senso quell'albero andava abbattuto poiché consentiva al nemico di aggiustare il tiro e puntare direttamente sulle trincee. Pero accade direttamente l'opposto! I soldati svilupparono un attaccamento molto profondo nei confronti di quell'albero che divenne per loro un compagno d'arme che soffriva e sanguinava assieme a loro. A poco a poco cosi l'albero divenne un vero e proprio totem e fini ad essere menzionato nei diari dei combattenti e nelle lettere mandate a casa. “Povero alberello, sarai mica proprio tu il simbolo del nostro futuro destino?” scrisse in una proiezione dal gusto leggermente cristiano un ufficiale ungherese nel proprio diario. L'albero ormai morto in fine divento persino il simbolo ufficiale del reggimento.
Ma la storia non finisce ancora qui. Dopo un anno o giù di lì d’incessanti combattimenti tra i soldati nasce l'idea che quel l'albero ormai completamente frastagliato e annerito dal fuoco andava assolutamente “salvato” dalla completa distruzione. E salvato fu già a breve con tutti il benestare del commando. Quello che rimaneva dell'albero fu tagliato e trasportato prima al lager Segeti, dove fu accolto con tutti gli onori militari e benedetto da un sacerdote e poi spedito al sicuro a Szeged.
A Szeged la "reliquia" fu accolta in pompa magna in presenza delle autorità cittadine e di una grande folla. Dopo la cerimonia, il "Doberdói fa" fu collocato in un posto d'onore nel museo cittadino. Degli anni dopo la guerra divenne una vera meta di pellegrinaggio da parte di quelli che sul Carso ci hanno combattuto e dei famigliari di quelli che sul Carso ci sono rimasti per sempre.
Nel passare degli anni però la memoria pian piano svanì e dopo la seconda guerra mondiale l’albero fu spostato in un deposito, dove rimase dimenticato fino alla sua riscoperta nel 2010. Nel 2013 il gelso tono a fare visita al “paese natio” per una mostra.
Nel 2016 una piantina di gelso proveniente da Szeged fu piantata esattamente nel punto, dove un tempo cresceva l'“albero sacro”.
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