petek, 21. julij 2017

Duecastelli - la Machu Picchu d'Istria

Il Canale di Leme fa parte di una valle d'erosione (Limska draga) sulla costa ovest dell’Istria, che si prolunga per circa 35 chilometri all'interno del territorio istriano. Il canale in se e lungo solo 9 chilometri.


A pochi chilometri di distanza da dove termina il Canale di Leme, ci sono due sporgenze rocciose, una dal pendio settentrionale della valle, l’altra su quello meridionale. Su quella meridionale nel medioevo sorgeva una fortezza chiamata Castel Parentino (il nome indica i suoi proprietari, cioè i vescovi di Parenzo) che fu abbandonato già nel XIV secolo e del quale praticamente non e rimasta nessuna traccia, mentre su quella settentrionale ancora oggi si trovano le rovine di una città-fortezza chiamata Moncastello (da Montecastello). L'abitato rimase, nonostante la scomparsa di Castel Parentino, conosciuto sotto il nome comune di Duecastelli (anche Docastelli o Duo Castra) fino al suo abbandono totale.


La zona di Duecastelli era abitata già nella preistoria. Questo non sorprende poiché la terra fertile e la vicinanza di fonti d'acqua rende il luogo adatto per la creazione di insediamenti. Varie tracce archeologiche (lapidi, oggetti di uso quotidiano, armi, monete romane) confermano chiaramente la continuità di insediamento anche nel periodo romano quando l'abitato faceva probabilmente parte delle fortificazioni del limes settentrionale dell’agro polesano. Anche il nome del vallone in se (Leme/Lim) trae probabilmente origine dal suo utilizzo come confine (limes) tra l’agro parentino e quello polesano. Duecastelli sorge inoltre proprio nel punto dove il vallone curva a 90 gradi verso nord. Da questo punto è quindi possibile proteggere e chiudere la valle e allo stesso tempo controllare sia i traffici in direzione nord – sud, sia quelli in direzione est – ovest.

Tracce della strada che nell'antichità partiva da Pola e passando per Valle (Bale) raggiungeva Duecastelli per poi proseguire a nord verso Corridico (Kringa) sono ancora visibili vicino al ciglione meridionale del pendio che conduce verso la città e a nord dell’insediamento nei pressi del cimitero. Il ritrovamento di un’ara votiva dedicata alla divinità autoctona Eia comunque testimonia la persistenza della cultura istrica dopo la conquista e un lungo processo di romanizzazione.

Duecastelli come appariva alla fine del XIX secolo (Caprin, 1895)

La zona di Duecastelli rimase strategicamente importante anche dopo la caduta del Impero romano e dell’abbandono della vecchia suddivisione del territorio. Durante il Medioevo passò di mano più volte e trascorse gli ultimi secoli della propria esistenza sotto il dominio veneziano. Per una combinazione di circostanze storiche fungeva di nuovo da fortificazione di confine, questa volta su quello che separava i territori della Serenissima a ovest dai territori della Contea di Gorizia (e più tardi dell'Austria) a est. Venezia era molto interessata a possedere Duecastelli, non solo per tale ragione, ma anche perché esso era il centro abitato più vicino all'imbarco che si trovava alla fine del canale di Leme e fungeva quindi come dogana per le merci che venivano esportate dall'Istria.


Duecastelli prosperò fino all'inizio del XVII secolo quando, in pochi anni, un susseguirsi di tragici avvenimenti decretò la sua fine. Nel 1615, durante la guerra tra l'Austria e Venezia, Duecastelli resistette a un assedio di quattro giorni da parte dei Uscocchi i quali, fallendo nell'impresa di conquistare la città, colti da rabbia impotente saccheggiarono e bruciarono i villaggi circostanti. Negli anni seguenti la popolazione fu quasi del tutto sterminata dalla peste di manzoniana memoria e dalla malaria. I pochissimi sopravvissuti abbandonarono la città “maledetta” e si trasferirono nella vicina, ma più salubre, Canfanaro (Kanfanar).


Stranamente la descrizione più antica di Duecastelli a noi pervenuta è quella redatta dal vescovo di Cittanova G. F. Tommasini che visitando la città alla meta del XVII secolo non vi trovò che tre famiglie di contadini. La chiesa di Santa Sofia che a quei tempi era ancora utilizzata gli fece un'ottima impressione. Dopo aver menzionato l’antichità della chiesa e la sua forma basilicale egli prosegui: “…e sovra la volta della nave di mezzo vi si vedono pitture antiche e cose longobarde(?), quali rappresentano la città di Gerusalemme combattuta e vi si vede un'armata di mare con forma stravagante di galere. Vi sono altre pitture del testamento vecchio con la vita e la passione di Cristo dipinto all'uso greco, dalla parte opposta li dodici Apostoli ed altro. Nell'altar maggiore la beatissima Vergine con figure di basso rilievo antiche, l'altra di Santa Sofia con figure di tutto rilievo, segno di grande antichità ed è mirabile che questa chiesa vien conservata bene, caduto il resto del castello sino il palazzo del rettore”.


Nel 1714 fu abbandonata anche la chiesa di Santa Sofia. Il suo interessante pulpito paleogotico con un bassorilievo raffigurante Santa Sofia che regge nelle mani due città fu, come anche la porta d'ingresso intagliata e alcune statue, trasferito nella chiesa parrocchiale di Canfanaro, dedicata a San Silvestro. La città cosi “mori” definitivamente.

Il pulpito con il bassorilievo di Santa Sofia che oggi si trova a Canfanaro (Udruga DVEGRAJCI)

Nel periodo 1965-1971 i resti di Santa Sofia furono oggetto di un importante intervento di conservazione e di parziale ricostruzione. Durante i lavori gli archeologi salvarono dal ulteriore degrado (e dai “collezionisti”) numerosi resti di affreschi risalenti al periodo pre-romanico e numerosi frammenti di sculture in pietra. Oggi questi reperti si trovano al Museo archeologico dell’Istria a Pola.

Alla fine del XIX gli affreschi pre-romanici erano ancora bene visibili (Caprin, 1895)

Cosa può vedere attualmente il visitatore a Duecastelli?

I resti della città sono circondati da doppie mura, collegate nei punti dove si trovano le porte cittadine. Come fortificazione aggiuntiva, furono costruite nel XIV secolo anche tre imponenti torri di difesa. La città è dominata dalla imponente basilica romanica di Santa Sofia costruita tra il XI e il XII secolo sui resti di una chiesa paleocristiana, risalente al V secolo. Oltre a questo si possono ammirare anche i resti di 220 case (perlopiù ancora ricoperte dalla vegetazione) e l'infrastruttura urbana dell'epoca (strade e piazze lastricate, canali per lo scolo dell'acqua, ecc.).

La pianta di Duecastelli

In sintesi, quello che è possibile vedere oggi e, nonostante l'implacabile scorrere del tempo, una città tutto sommato bene conservata e perennemente “congelata” all'inizio del XVII secolo. Da ringraziare per questo fatto, soprattutto l'abbandono repentino e totale della città da parte dei abitanti cosicché non ci sono stati successivi ristrutturamenti e ammodernamenti. Allo stesso tempo Duecastelli si trova anche abbastanza lontano dagli altri centri abitati e quindi non era più di tanto interessante come “cava”, dove predare materiali edilizi. La vicina Canfanaro era in fondo solo un piccolo paese, ed il dislivello tra i 2 siti non favoriva certo il trasporto.

A Duecastelli è interessante pure quello che non ci si trova. A Duecastelli non ci sono folle di turisti (può capitare di girarci totalmente da soli), non ci sono informazioni turistiche (né di qualunque altro tipo, se per questo...) e non ci sono souvenir (anche se il baracchino/ristoro vicino al parcheggio prova da tempo a rimediare con scarsi risultati).

Un'Istria alternativa insomma.

Continua…


Fonti:
Maurizio Levak: Nastanak i povijesni razvoj ranosrednjovjekovnog Dvigrada (2007)
Juroš Monfardin, F.: Dvigrad: povijesnoarheološka skica, Histria Archaeologica (1999), 30, 155-164.
Schiavuzzi R.: Due Castelli (1919)
Giuseppe Caprin: Alpi Giulie (1895) (dal punto di vista storiografico rilevante come Topolino, pero contiene belle foto e schizzi d'epoca)
Udruga DVEGRAJCI (associazione culturale dedita alla promozione e allo studio di Duecastelli)

Dvigrad - istrski Machu Picchu

Limski kanal je okoli 9 km dolg zaliv na zahodni obali Istre. Pravzaprav gre za potopljen del Limske doline (Limska draga), ki je v celoti dolga približno 35 km, in ki se nadaljuje v notranjost Istre kot kraška dolina.



Le nekaj kilometrov od tam, kjer se konča Limski zaliv, se nahajata dve izpostavljeni vzpetini, ena na južnem in druga na severnem pobočju Limske doline. Na južni je v srednjem veku stala utrdba Kaštel Parentin (Castel Parentino - ime je dobila po tedanjih lastnikih, t.j. poreških škofih), ki je bila opuščena še v 14. stoletju in od katere ni ostalo praktično nič, na severni pa se še dandanes nahajajo razvaline mesta-gradu Monkaštel (Moncastello - iz monte castello, t.j. hrib z gradom). Območje je bilo kljub opustitvi Kaštel Parentina do svojega konca znano pod skupnim imenom Dvigrad (Duecastelli, Docastelli, Duo Castra), t.j. dve mesti/grada.



Dvigrad je bil naseljen že v prazgodovini. To ni presenetljivo, saj rodovitna zemlja in bližina vodnih virov nudijo ugodne pogoje za stalno naselitev. Arheološke najdbe (nagrobniki, predmeti za vsakdanjo rabo, orožje, kovanci) potrjujejo kontinuirano poselitev tudi v rimskem obdobju, ko je bilo naselje verjetno del niza utrdb v okviru severnega limesa puljskega agra. Tudi ime same doline (Lim/Leme) verjetno izvira iz uporabe te naravne ločnice za potrebe administrativne meje (limes) med puljskim in poreškim agrom. Poleg tega leži Dvigrad točno na mestu, kjer dolina zavije pod kotom 90 stopinj proti severu. Od tod je torej mogoče ščititi prehod po dolini in nadzorovati promet tako v smeri sever – jug kot tudi vzhod – zahod.

Ostanki ceste, ki je v antiki iz Pulja preko Bal vodila do Dvigrada in od tam naprej proti Kringi na severu, so še danes vidni ob južni strani mesta in v bližini pokopališča, ki se nahaja severno od mesta. Hkrati pa najdba votivne are posvečene avtohtonemu božanstvu Eji nakazuje, da se je histrska kultura ohranila tudi po rimski osvojitvi in da je bila romanizacija dolgotrajen proces.


Dvigrad kot so ga lahko videli popotniki konec 19. stoletja (Caprin, 1895)

Območje Dvigrada je ostalo strateško pomembno tudi po padcu rimskega cesarstva in opustitve rimske zemljiške razdelitve. V srednjem veku je zamenjalo več gospodarjev in v zadnjih stoletjih svojega obstoja bilo pod beneško oblastjo. Po spletu zgodovinskih okoliščin je bil Dvigrad še vedno obmejna utrdba, tokrat na meji med Beneško republiko na zahodu in Goriško grofijo (in kasneje Avstrijo) na vzhodu. Poleg zaradi same obrambne vloge je bil pomemben tudi zato, ker je bil pristanišču na koncu Limskega zaliva najbližje naselje in je torej služil kot carinska postaja za blago, ki je zapuščalo osrednjo Istro.


Strateško pomembno in relativno premožno mesto je živelo do začetka 17. stoletja, ko ga je v nekaj letih prizadel niz tragičnih dogodkov, ki so ga zapisali propadu. Leta 1615 je med avstrijsko-beneško vojno mesto vzdržalo štiridnevno obleganje. Ker jim mesta ni uspelo zavzeti, so Uskoki v besu oplenili in požgali bližnje vasi. V sledečih letih je Dvigrad opustošila najprej kuga in nato še malarija. Maloštevilni preživeli prebivalci so »zakleto« mesto zapustili in se preselili v Kanfanar, ki naj bi imel bolj zdravo podnebje.


Nenavadno je, da najstarejši znan opis Dvigrada izhaja šele iz sredine 17. stoletja, ko ga je obiskal novigradski škof G. F. Tommasini in v njem našel samo še 3 revne kmečke družine. V svojem poročilu je podal tudi dober opis cerkve sv. Sofije, ki je bila takrat še vedno v funkciji. Po omembi častitljive starosti cerkvene zgradbe in tega, da gre za baziliko, se je spustil tudi v podrobnejši opis cerkvene notranjosti: "...nad obokom osrednje ladje so vidne stare slikarije in langobardske stvari(?), ki prikazujejo bitko za Jeruzalem in ladijsko floto, ki jo sestavljajo galeje nenavadnih oblik. Najdemo tudi druge prizore iz Stare zaveze in prizore iz Kristusovega življenja, ki so naslikani na grški način. Na nasprotni strani najdemo prikaz dvanajstih apostolov in še druge prizore. Na glavnem oltarju je star relief s podobo Device Marije. Tukaj je tudi relief častitljive starosti s podobo sv. Sofije. Občudovanja vredno je, da je cerkev, za razliko od preostanka gradu in rektorske palače, v dobrem stanju."


Leta 1714 je bila zapuščena tudi cerkev sv. Sofije, njena zanimiva paleogotska prižnica z reliefom sv. Sofije, ki drži v rokah dve mesti, pa je bila skupaj z izrezljanimi vhodnimi vrati in nekaj kipi preseljena v župnijsko cerkev sv. Silvestra v Kanfanaru. Mesto je tako tudi dokončno »umrlo«.

Prižnica iz Sv. Sofije, ki se danes nahaja v Kanfanaru (Udruga DVEGRAJCI)

V obdobju 1965-1971 so bili na cerkvi sv. Sofije izvedeni obsežni konzervatorski in rekonstrukcijski posegi. Med deli so arheologi pred nadaljnjim propadom (in pred krajo…) uspeli rešiti ostanke fresk iz predromanskega obdobja in številne fragmente kamnitih kipov. Danes se te zgodovinske ostaline nahajajo v Istrskem arheološkem muzeju v Pulju.

Konec 19. stoletja je bilo na stenah Sv. Sofije še vedno možno videti ostanke predromanskih fresk (Caprin, 1895)

In kaj lahko danes vidimo v Dvigradu?

Ostanke mesta obdaja dvojno obzidje, ki se stika pri treh mestnih vratih in ki ga dodatno utrjujejo še trije obrambni stolpi iz 14. stoletja. Na osrednjem in hkrati najvišjem delu mesta se dvigajo ostanki mogočne romanske bazilike posvečene sv. Sofiji, ki je bila zgrajena med 11. in 12. stoletjem na ostankih starokrščanske cerkve iz 5. stoletja. Poleg tega obiskovalce v Dvigradu pričakajo še večinoma pod vegetacijo skriti ostanki 220 hiš s pripadajočo urbano infrastrukturo (tlakovane ulice in trgi, odtočni kanali, itd.).

Tloris Dvigrada

V bistvu je to, kar dandanes vidimo, kljub zobu časa, ki še vedno neusmiljeno melje dalje, zelo dobro ohranjeno srednjeveško mesto, ki bo za vedno ostalo zamrznjeno v zgodnjem 17. stoletju. Zasluga za to ohranjenost gre predvsem dejstvu, da so prebivalci enostavno odšli in zato mesta niso več prenavljali in »posodabljali«, hkrati pa je imelo tudi to srečo, da se nahaja dovolj daleč od drugih naselij, kar je omejilo njegovo izrabo kot vir gradbenega materiala. Bližnji Kanfanar je bil kljub vsemu le majhna vas do katere še danes vodi dolg strm klanec.

Zanimivo je tudi to, česar obiskovalec v Dvigradu ne najde. V Dvigradu ni množice turistov (lahko se zgodi, da boste med obiskom popolnoma sami), ni turističnih (oz. kakršnihkoli drugih) informacij o kraju in ni spominkov (čeprav se kiosk/okrepčevalnica, ki stoji ob parkirišču, dokaj neuspešno trudi s tem).

Skratka Istra za alternativce.

Se nadaljuje...

Viri:
Maurizio Levak: Nastanak i povijesni razvoj ranosrednjovjekovnog Dvigrada (2007)
Juroš Monfardin, F.: Dvigrad: povijesnoarheološka skica, Histria Archaeologica (1999), 30, 155-164.
Giuseppe Caprin: Alpi Giulie (1895) (z zgodovinopisnega stališča je knjiga relevantna približno toliko kot Mikijev zabavnik, vendar vsebuje zanimive fotografije in skice)
Udruga DVEGRAJCI (kulturno društvo, ki se ukvarja s promocijo in preučevanjem Dvigrada)

ponedeljek, 10. julij 2017

La storia dello skyphos con civetta di Most na Soči

Durante gli scavi archeologici del 2001, a Most na Soči, venne ritrovato dagli archeologi, in una tomba risalente al V secolo a.C., uno skyphos, quasi intatto, decorato con figure di civetta.

Lo skyphos ritrovato to a Most na Soči

Lo skyphos è un modello di coppa per libagioni originaria dell'antica Grecia. Questo tipo di coppa è caratterizzato da un piede basso e da due piccole anse poste appena sotto l'orlo. Le anse possono essere o entrambe orizzontali (tipo A) o una orizzontale e l'altra verticale (tipo B). Gli skyphos di tipo B, vengono anche chiamati, indipendentemente dal tipo di decorazione, glaux, cioè civetta. Questa denominazione è probabilmente legata al fatto che la forma della coppa ricorda un uccello. L'ansa verticale rappresenta la testa dell’animale, la coppa il tronco e l'ansa orizzontale la coda. 

Nel V secolo a.C., ad Atene, si iniziò la produzione di grandi quantità di skyphos, a figure rosse su sfondo nero, raffiguranti una civetta tra due rametti d'ulivo. Questo tipo di skyphos divenne molto popolare e venne esportato nell’intero mondo greco, Italia meridionale ed Etruria comprese. Vista la grande popolarità dell’oggetto, presto incominciarono ad apparire »copie« provenienti prima da Corinto e dopo anche dalla Puglia, dalla Campania e dall'Etruria.

Skyphos con civetta di tipo A conservato a Bologna

Skyphos con civetta di tipo B conservato a Antalya

La datazione degli skyphos con civetta risulta problematica poiché non ci sono parallelismi stilistici con altro vasellame dipinto di quel periodo. Il modo usato per raffigurare la civetta è, infatti, completamente al di fuori degli stilemi pittorici tipici per l'epoca. Si crede quindi che queste coppe siano state, almeno all'inizio, prodotte in laboratori altamente specializzati, che svilupparono un proprio stile pittorico. Nonostante ciò, si ritiene che la maggior parte degli skyphos con civetta risalga al periodo 475 – 425 a.C..

L'iconografia degli skyphos con civetta appare comunque molto chiara. La civetta è ovviamente legata alla figura della dea Atena, protettrice della città di Atene. Il modo in cui la civetta è rappresentata ricorda inoltre l’aspetto delle monete d'argento ateniesi che riportavano da un lato l'effige della dea Atena con il caratteristico elmo e dall'altra una civetta nella stessa posa di quella raffigurata sugli skyphos, accompagnata da un rametto d'ulivo.

Moneta d'argento ateniese

D'altro canto ci sono poche certezze sul significato e sull'utilizzo degli skyphos con civetta. La loro peculiarità sta in primis nel numero insolitamente alto degli esemplari ritrovati. Un vecchio articolo del 1955, per esempio, ne conta ben 48 solo nei principali musei europei. Questo fatto sta a indicare che, per un periodo dell'antichità, essi giocassero un ruolo assai rilevante nella società. Molto probabilmente facevano parte di rituali di sacrificio ad Atena. Questa ipotesi troverebbe conferma nell'elevato numero di frammenti ritrovati sull'acropoli di Atene. È altresì probabile che le coppe venissero utilizzate sia nei rituali religiosi domestici che durante le feste religiose.

E lo skyphos con civetta di Most na Soči? Nell'area delle Alpi sud-orientali oggetti di lusso di questo tipo arrivavano molto di rado. I preziosi manufatti greci prima raggiungevano per mare gli avamposti ellenici più settentrionali sulla sponda occidentale dell’Adriatico (Adria, Spina), da dove in seguito continuavano il loro tragitto nell'entroterra, seguendo le antiche vie commerciali.

È difficile credere che nell’Isontino ci fosse qualcuno che venerasse la dea Atena, quindi è molto probabile che la coppa avesse una funzione puramente decorativa per il (presumibilmente ricco e rispettabile) proprietario. Se si tratta di uno skyphos ateniese originale o di una sua copia, ciò rimarrà probabilmente un mistero.

Per saperne di più;

Zgodba o sovjem skifosu iz Mosta na Soči

Leta 2001 so med zaščitnimi arheološkimi raziskavami na Mostu na Soči v grobu iz sredine 5. stoletja pr.n.š. našli skoraj v celoti ohranjen grški skifos okrašen z rdečimi sovjimi figurami.


Sovji skifos iz Mosta na Soči

Skifos (skyphos) je globoka posoda (čaša) za pitje z nizkim podstavkom in dvema ročajema, ki se nahajata tik pod zgornjim robom. Ročaja sta lahko oba vodoravna (tip A) ali pa je eden vodoraven, drugi pa navpičen (tip B). Skifosi tipa B so, ne glede na siceršnjo okrasitev, znani tudi pod imenom glaux (sova). To poimenovanje najverjetneje izvira iz tega, da njihova oblika spominja na ptico. Navpičen ročaj predstavlja glavo ptice, čaša sama trup, vodoraven ročaj pa rep. 

V 5. stoletju pr.n.š. so začeli v okolici Aten proizvajati t.i. sovje skifose na katerih je bila na črni podlagi upodobljena rdeča sova med dvema oljčnima vejicama. Ta tip skifosa je sčasoma postal tako priljubljen, da so ga začeli izvažati na vsa področja pod grškim vplivom, vključno z južno Italijo in Etrurijo. Zaradi te izjemne priljubljenosti so se kmalu začeli pojavljati »ponaredki«, ki so najprej izvirali iz Korinta, kasneje pa tudi iz Apulije, Etrurije in Kampanije.


Sovji skifos iz Bologne (tip A)

Sovji skifos iz Antalye (tip B)

Natančna datacija sovjih skifosov je težavna, saj ni mogoče potegniti vzporednice z drugimi poslikanimi posodami. Način upodobitve sove in oljčnih vejic namreč ne ustreza nobenemu znanemu slikarskemu stilu iz tistega obdobja. Domneva se, da so sovje skifose vsaj v začetku proizvajali v strogo specializiranih obratih, ki so razvili povsem svoj likovni slog. Kljub vsemu prevladuje mnenje, da glavnina sovjih skifosov izvira iz obdobja 475 – 425 pr.n.š.

Kakorkoli že, ikonografija sovjih skifosov je precej jasna. Sova je seveda simbolno povezana z boginjo Ateno, ki je bila tudi zaščitnica samega mesta Atene. Sam način upodobitve sove na skifosih spominja na figuraliko atiških srebrnikov, ki so imeli na eni strani lik Atene z značilno čelado, na reverzu pa sovo v podobni pozi, kot jo najdemo na skifosih, in oljčno vejico.


Atiški srebrnik

Kaj pa lahko rečemo o pomenu in rabi sovjih skifosov? Njihovo neverjetno veliko število (članek iz leta 1955 jih samo v vodilnih evropskih muzejih našteje kar 48) nakazuje, da so v antiki očitno igrali neko pomembno vlogo v tedanji družbi. Po eni strani so te čaše verjento uporabljali med javnimi daritvenimi obredi boginji Ateni, saj so npr. ravno na atenski akropoli našli zelo veliko njihovih črepinj. Poleg tega pa so jih verjetno uporabljali tudi pri domačih verskih obredih in pri verskih praznovanjih.

Kaj pa sovji skifos iz Mosta na Soči? Na območje jugovzhodnih Alp so tovrstni luksuzni predmeti verjetno prihajali dokaj redko. Dragoceni grški izdelki so ponavadi najprej prispeli po morju do najsevernejših grških postojank na zahodni jadranski obali (Spina, Adria), od tam naprej pa so potovali naprej v notranjost po starodavnih trgovskih poteh.

Ker je težko verjeti, da so v Posočju kdaj častili boginjo Ateno, lahko upravičeno domnevamo, da je imel za premožnega in uglednega lastnika sovji skifos izključno okrasno funkcijo. Če gre za originalni atiški skifos ali pa le za »ponaredek«, pa verjetno ne bomo nikdar izvedeli.

Nadaljnje branje:
Michael Watson - The owls of Athena: Some comments on owl skyphoi and their iconography
Franklin P. Johnson - A note on owl skyphoi
Atiški sovji skifos z Mosta na Soči